BELLUNO – In Italia oltre una frana su quattro colpisce i terreni agricoli. E anche la superficie a rischio alluvioni è pari al 23,4% della superficie complessiva. Il Veneto, proprio per quanto riguarda il rischio idraulico, è la seconda regione più esposta in Italia, dopo l’Emilia Romagna. Effetti distruttivi dovuti a un mix micidiale composto dai mutamenti climatici, dall’abbandono di molti terreni agricoli e dall’urbanizzazione, che tendono ad aggravare il quadro in un contesto generale già precedentemente critico per l’insufficienza degli interventi di prevenzione.
A dirlo è il rapporto del Centro studi di Confagricoltura, che ha preso in esame le rilevazioni di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) del 2017, del Cnr e del ministero dell’Ambiente, dai quali emerge come Il dissesto idrogeologico sia in crescita, rispetto alla precedente rilevazione del 2015: i Comuni italiani a rischio frane e alluvioni sono passati dall’88% al 91%, la superficie territoriale a rischio frane e alluvioni è cresciuta del 2,9%. E le frane registrate in Italia rappresentano circa i due terzi delle frane registrate in Europa.
Per quanto riguarda la percentuale di superficie regionale a rischio idraulico, l’Emilia Romagna guida la classifica con il 92% di superficie a rischio, seguita dal Veneto con il 41%, dalla Toscana (39%), dalla Lombardia (37%) e dal Piemonte (25%). L’incidenza del rischio idraulico alto è più elevata in Emilia. Romagna (11%), Lombardia (8%) e Veneto (7%). Gli agricoltori e le attività agricole sono particolarmente coinvolti dalle conseguenze del dissesto idrogeologico. I Comuni a rischio frane e alluvioni (7.275 su 7.983 nel 2017) sono soprattutto piccoli Comuni rurali. Un grave rischio per l’incolumità dei cittadini (1.850 morti, 2.000 feriti, 318.000 senzatetto negli ultimi 50 anni), e un appesantimento per la finanza pubblica (3 miliardi solo per le alluvioni dell’autunno 2018), che costa da tre a quattro volte più della prevenzione. Negli ultimi 18 anni (2000-2018), in Italia, le alluvioni catastrofiche sono state, in media due l’anno; nel periodo precedente (1900-1999) erano state sempre inferiori a una per anno. In particolare, fra il 2000 e il 2009, la frequenza annua delle alluvioni catastrofiche è stata di 1,4, mentre fra il 2010 e il 2018 è salita a 2,6.
Belluno è la provincia più a rischio del Veneto per quanto riguarda frane e alluvioni, come dimostrano gli eventi disastrosi di inizio novembre, con danni per quasi 6 milioni di euro. “È chiaro che le risorse sono sempre più insufficienti sia per la prevenzione, che per la ricostruzione – sottolinea Diego Donazzolo, presidente di Confagricoltura Belluno -. Credo che i tempi siano maturi per rivedere l’ordinamento dello Stato, spalmando in modo più equo le risorse. Oggi le Regioni a statuto speciale riescono a fare sia prevenzione, che a intervenire in tempi veloci dopo i fortunali grazie ai finanziamenti maggiori di cui dispongono. Le imprese che operano in quei territori sono più sostenute dalla macchina pubblica rispetto alle altre Regioni, dove sono sempre più spesso i privati a dover intervenire per tappare le falle. Lo stiamo vedendo anche ora nel Bellunese, dove dopo il disastro di novembre tutta la parte alta della provincia, dal Comelico all’Alto Cadore, è in forte difficoltà. Ha ragione il governatore Zaia: tutte le Regioni devono avere l’autonomia per avere più risorse da impiegare nelle emergenze”.