Stanley Kubrick, nato oltre oceano nel ’28 da famiglia di origine ebraica ed europea (da parte di padre), è conosciuto soprattutto per aver affrontato con grande abilità quasi tutti i generi cinematografici: su di lui si sono “sprecati” più volte aggettivi superlativi in merito alle sue opere cinematografiche ed è molto meno conosciuto come fotografo.
Quando da bambino, all’età di tredici anni, ricevette in regalo la sua prima macchina fotografica, Kubrick capì quale sarebbe stata la sua strada; scattava con gusto, perfezionando sempre più la sua innata capacità di documentare in maniera ironica e incisiva la vita quotidiana americana, con inquadrature perfette e fulminanti.
La svolta come fotografo professionista avvenne a diciassette anni, quando la rivista Look lo accolse nel suo staff come fotoreporter a seguito dell’immagine, che poi divenne famosa, di un edicolante disperato per la morte del presidente Roosevelt.
Per quasi cinque anni rimase alle dipendenze della rivista perché, come lui stesso disse “mi fornì una rapida educazione su come andavano le cose nel mondo”.
Il cambiamento radicale nella vita artistica di Kubrick arrivò tra il 1949 e il 1950 quando, pochi mesi dopo aver eseguito due servizi fotografici su Rocky Graziano e Walter Cartier, realizzò un cortometraggio (autoprodotto con soli 3.900 dollari raggranellati tra parenti ed amici, e rivenduto alla casa di produzione RKO per appena 4.000) il quale narrava il giorno precedente ad un incontro di pugilato, con protagonista proprio Cartier e il suo sfidante Bobby James.
Lo scatto a Rocky Graziano, pugile di origini italiane, viene “rubato” in un momento totalmente privato, in una posa che non cerca di esaltarne le doti fisiche e per di più in un scenario così dimesso che apparentemente ha ben poco a che fare con un campione del ring.
Da questo evento nacque il regista conosciuto fino ad oggi, ma la fotografia rimase sempre una sua espressione personale ed interiore, passando dalla narrazione di eventi di vita quotidiana per le strade Americane, alla descrizione del “dietro le quinte” del circo della settima arte, sempre con un punto di vista personalissimo. La vita quotidiana dei protagonisti in momenti intimi, sia essi assorti sia essi di lavoro sul set, accompagneranno, immortalati su pellicola fotografica, le immense capacità narrative sulla pellicola cinematografica.
Testo Emiliano Maiolo ed Andrea Dal Mas.