Monografia #1: Paolo Pellegrin

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Il fotoreporter, soprattutto in zone di guerra, è un mestiere duro, crudo, impegnativo, rischioso e spesso uno scatto o un intero reportage colpisce per la brutalità delle immagini o per la scena di violenza ripresa.

Paolo Pellegrin, nato nel 1964 a Roma (anche se nel cognome si rivelano origini friulane) a differenza della maggioranza dei fotoreporter ha uno stile tutto suo ed una sensibilità tale nel raccontare i fatti, che l’osservatore quando guarda una sua foto non può rimanere indifferente e distaccato, ma viene trascinato dentro, nella guerra, nel dolore, nella desolazione; lui è sempre dentro la scena, partecipe e mai osservatore lontano e distaccato.

IRAQ 2003. Una madre vede trascinare via il corpo del proprio figlio, miliziano di Saddam, ucciso dagli inglesi
IRAQ 2003. Una madre vede trascinare via il corpo del proprio figlio, miliziano di Saddam, ucciso dagli inglesi

Figlio di architetti, da giovane un po’ introverso e silenzioso, abbandona gli studi di architettura al quarto anno, perché sapeva che quella vita in un certo senso imposta dalla famiglia non faceva per lui, che aveva bisogno di esprimersi attraverso la fotografia, e difatti dopo quella “svolta” la sua carriera potrà vantare numerosi e prestigiosi premi, nonché collaborazioni eccellenti, come quella dal 2005 con l’agenzia Magnum Photos, una delle più importanti agenzie fotografiche al mondo (terzo ed ultimo italiano fin ora a farne parte).

Paolo oggi porta occhiali spessi e soffre sin da giovane di una progressiva riduzione del campo visivo; questo si legge anche nelle sue fotografie, nei bordi neri che incorniciano i soggetti, nell’uso di tempi di scatto lenti e spesso ricercati in luoghi con poca luce, che rendono le sue foto inconfondibili, perché indefinite e mai calligrafiche, anzi, leggermente mosse e sfuocate.

Dalle sue parole: “Ci sono due modi di comunicare: c’è un tipo di fotografia che si rivela completamente, è un’immagine che parla, dice cose forti e chiare, è molto leggibile, ma è un’indagine finita, è la versione dei fatti del fotografo. L’altra, quella che mi interessa di più, è una fotografia non finita, dove chi guarda ha la possibilità di cominciare un proprio dialogo. E’ un invito: io ti porto in una direzione, ma il resto del viaggio lo fai tu”.

LIBANO 2006. lo sguardo di una bambina in fuga dal suo villaggio nel sud del Libano
LIBANO 2006. lo sguardo di una bambina in fuga dal suo villaggio nel sud del Libano

Testo: Andrea Dal Mas – Fotografie: © Paolo Pellegrin/Magnum Photos

Bibliografia: Mario Calabresi – A OCCHI APERTI – Contrasto, 2013; Magnum Photos – www.magnumphotos.com.

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