Eugenio Padovan: “Cultura sinonimo di agricoltura”

Piazza Duomo a Belluno (Luca Mares)
Un tramonto dal Monte Serva (Luca Mares)
Un tramonto dal Monte Serva (Luca Mares)

BELLUNO – Quanti di noi, posti di fronte a dei prati fioriti, a un bosco o un campo, saprebbero capire e descriverne i molteplici contenuti e significati racchiusi in questi tre aspetti del nostro ambiente. Sicuramente pochi.

Ancor peggio se aggiungessimo i beni culturali. Siano essi: l’archeologia, l’architettura, l’arte senza tralasciare tutto quello che è connesso le tradizioni e il resto dell’espressione e creatività positiva del genere umano. Come a voler significare che abbiamo perso completamente la rotta e la capacità di reagire, investiti come siamo dall’attuale crisi. Purtuttavia è proprio in questi frangenti che vi è l’imprescindibile necessità di saper rimettersi in piedi ricorrendo a quanto di più sicuro e stabile possediamo e che stiamo dimenticando e distruggendo: la nostra grande ricchezza ambientale e culturale.

Proprio domenica sera alla trasmissione “Che tempo che fa”, vi erano Salvatore Settis e Carlo Petrini due grandi personaggi del nostro paese che, a un’osservazione solo superficiale e distratta, potevano apparire agli antipodi mentre Fazio li ha messi e intervistati uno di fianco all’altro.

La sintesi! Cultura e agricoltura! Per capirci come non vi sia soluzione di continuità tra il lavorare la terra e la costruzione di tutto quello che l’uomo ci ha consegnato e lasciato da millenni a questa parte, frutto d’impegno, applicazione, ingegno e fatica fisica. Noi oggi, distruggendo e trascurando ogni cosa, dimostriamo di non conoscere nulla del bagaglio culturale accumulato e lasciato dai nostri avi. A noi basta il denaro, accumularne tanto.

Invece dovremmo, per salvarci, tornare, sia pure con le nuove tecnologie, alla terra per recuperare una dimensione complessiva come ci dimostrano gli altri paesi. Chi ha visto il filmato sui Castelli della Loira, diffuso domenica nella trasmissione “Alle falde del Kilimangiaro“, avrà potuto costatare di come in Francia riescano a fare fruttare i loro manieri, partendo proprio dalla terra e offrendo tutte le possibilità che ne discendono aggiungendo aspetti creativi legati con l’arte e lo sport. Noi invece riusciamo nel “capolavoro” di distruggere le campagne e lasciar crollare i nostri beni culturali, iniziando proprio da Pompei.

Orbene questi parametri li dovremmo recuperare anche nella nostra provincia laddove la nuova frontiera dello sfruttamento, assurdo e miope, è quella dell’acqua con una folle corsa a costruire, in ogni piccolo corso d’acqua, centraline per la produzione di energia elettrica. Dimenticando e sventrando la bellezza dell’ambiente, l’alimentazione delle falde acquifere e via di questo passo. E come se non fosse sufficiente l’idea di progresso e sviluppo, per noi bellunesi, è, e rimane ancora, inscindibilmente affezionata al cemento, mentre possediamo un ambiente invidiabile e una cultura pressoché sconosciuta ai più.

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