SAGROGNA – Non possiamo lasciar scorrere via il Carnevale senza i suoi emblematici dolcetti, quelli dai cento e più nomi ed un’unica sostanza. Carfogn o carafòi, galani, chiacchiere, frappe o cenci, a Belluno si chiamano cròstoi, italianizzato in crostoli.
Ciascuna famiglia ha la sua ricetta, che per tutti è la migliore, ma ci sentiamo di affermare che il cròstol di paragone è quello di Natalina. Certo influisce anche il fattore soramànego, cioè l’abilità, ma noi, nel nostro piccolo, ci sforziamo di imitarla.
E così oggi è il giorno buono, iniziamo a preparare quanto serve e ci mettiamo all’opera. Si sa che per fare i crostoli è meglio essere in due, oggi siamo in tre con il fotografo. Fotografo e assaggiatore ufficiale. Sulla tavola per impastare disponiamo un chilo di farina, cinque uova, poco sale e poco zucchero, un etto di burro, lievito, un bicchiere di vino e uno di grappa. La macchinetta per passare la pasta è già fissata ad un angolo, il secolare tagliapasta, quello che a noi sembra una guglia della Sagrada Familia, è pronto. Sul fornello abbiamo messo la pentola di ferro, la farsòra, piena a metà di olio; accanto ci sono una tazza di zucchero e un grande catino per accogliere i crostoli.
Pronti? Via! Impastiamo gli ingredienti, ma ci sentiamo malinconici come questo cielo invernale e guardiamo un pò la pasta e un pò nostra madre stesa sul divano. Lei che tanto amava questi dolci e che ce li chiedeva anche fuori stagione, ora è rifugiata nel suo mondo dove, forse, i crostoli non li vuole nessuno. Sul suo petto dorme il gatto.
La lavorazione dell’impasto richiede tempo ed energia, ma finalmente otteniamo una pasta morbida, asciutta, tiepida. Prendiamo una porzione ed iniziamo a passarla più volte per il rullo della macchinetta, finchè si forma una fascia sottile che tagliamo a pezzetti. Il rullo, girando, produce un cigolio fastidioso. Il gatto apre gli occhi e guarda infastidito.
Intanto l’olio è caldo e, ad uno ad uno, i crostoli vi si tuffano veloci, si gonfiano, prendono colore e vengono riposti nel cestino con un po’ di zucchero sopra. Nella cucina si diffonde un gradevole ed intenso profumo di fritto. Gradevole per noi, non per il gatto che decide di andarsene lasciando una scia di impronte infarinate.
Una di noi continua a preparare i crostoli, l’altra li frigge; il lavoro prosegue così per quasi due ore. Il risultato è spettacolare: una montagnola di crostoli biondi sta occupando metà del ripiano della cucina.
L’assaggiatore ufficiale è molto soddisfatto. Tra noi però passa silenzioso il ricordo di quando preparavamo vassoi di crostoli da regalare a tante persone care che non ci sono più o che sono anch’esse vaganti per altre realtà.
Ma è mezzogiorno e non è tempo di nostalgia. Disponiamo per bene i crostoli in piatti da presentazione, ripuliamo il tavolo, il fornello, ammonticchiamo le stoviglie, spazziamo il pavimento seguendo le orme del gatto. Lo troviamo in sala, appisolato sopra il radiatore. Ci guarda con solenne sguardo di rimprovero. Gli offriamo un frammento di crostoso, ma fa l’atto di seppellirlo. Allora mi avvicino e gli stampo un bacio sulla pelliccia.
Sa di crostoli oggi il mio gatto. Dal profumo che emana, ancor prima di assaggiarli, capisco che sono buonissimi.
Articolo fotografico di Tiellephoto Press al link http://www.tiellephoto.it/it/B_articolo.asp?id_articolo=1037
Comunque e grafògn o carfògn non hanno nulla a che vedere con i crostoli… cambia la pasta e sono ripieni. Un saluto Gianni